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La Storia

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ANNO 1091: IL GRAN CONTE RUGGERO D’ALTAVILLA DA’ INIZIO ALLA FONDAZIONE DEL PAESE

Le origini del paese di Raccuja si fanno risalire alla fine del XI secolo, al tempo, cioè, della discesa dei Normanni nella Sicilia e della loro conquista dell’isola. Secondo fonti leggendarie, che si intrecciano con le vicende storiche del tempo, il Gran conte Ruggero d’Altavilla si trovò a combattere contro i Saraceni nella valle dove oggi è sito il borgo. Qui, dopo una sanguinosissima battaglia, il Conte riuscì a prevalere sui nemici ed elevò, in ringraziamento al Signore, un luogo sacro, intitolato a San Nicola, vescovo di Mira. Il luogo sacro venne poi, dallo stesso conte, affidato ai monaci basiliani, guidati dall’egumeno Nicodemo, al quale lo stesso consegnò il monastero e diede in affidamento le terre circostanti. Per quanto riguarda i documenti pervenutici, nulla ci è dato sapere sulla battaglia tra il Gran Conte e i Saraceni.  Ma, certamente, è il monastero di San Nicola il monumento più antico della cittadina: esso, probabilmente antecedente allo stesso Ruggero, dopo due secoli di decadenza e oblio causati dall’occupazione musulmana, è stato interessato da una munificenza (datata 1091), fatta dal regno normanno, per portare avanti quell’opera di cristianizzazione dell’isola operata dall’ordine monacale di San Basilio. Da ricondurre, inoltre, alla discesa in Sicilia del Gran Conte è sicuramente l’ampliamento di un piccolo insediamento urbano alle falde di monte Castagnerazza, che ora trovava il suo perno nel fortilizio normanno, edificato per la difesa dei luoghi da poco conquistati.

1091-1296: ORIGINE DEL NOME DOMINIO REGIO

Il nome di Raccuja (lat. Raccudia) compare per la prima volta in un documento datato 1271, dunque riferibile alla fase della dominazione Angioina. Diversi secoli dopo il Pirri, nel descrivere il monastero di San Nicola del Fico, usa queste parole: “dicto de Ficu, ad 500 p. a novi nominis oppido Raccuja”. Tempo dopo lo storico Amico riprenderà le stesse parole dell’Abate netino, affermando che “Raccuja è appellato di novello nome dal Fazello e dal Pirri, cioè dal tempo dei Saraceni, poiché costa averlo fabbricato il conte Ruggero presso il cenobio basiliano di San Nicolò del Fico…”. Ciò testimonia come il borgo fu chiamato solo in un secondo momento Raccudia, con le varianti Raccuglia, Recusia, Roccaglia e poi Raccuja; dell’appellativo precedente, però, non si conserva testimonianza in alcuno scritto.
Il periodo che va dalla fondazione (1091) al 1296 è interessato dalla dominazione Regia: Raccuja era dunque sottoposta al diretto controllo del monarca e non era soggetta all’autorità di alcun signore feudale. In quegli anni il centro cittadino si estese considerevolmente e la formazione di nuovi quartieri coincideva, pressoché, con la fondazione di chiese o con l’edificazione di presidi militari: ciò accadde per la chiesa di San Giovanni, nella parte bassa del borgo e per la “Torre Vecchia Ruggero”, detta anche “Rabbica”, che spostò il polo centrale del borgo dalla zona del Castello a quella sottostante, più pianeggiante e meglio edificabile.

1296-1418: IL GOVERNO DEGLI ORIOLES. DA BERENGARIO ORIOLES A BERENGARIO ORIOLES GIUNIORE

A partire dall’anno 1296, dopo la rivolta dei Vespri Siciliani del 1282, il possesso regio di Raccuja venne venduto alla famiglia Orioles, che tenne il potere sino al 1507. Raccuja venne elevata a Baronia e il primo signore fu Berengario Orioles: quest’ultimo, proveniente dalla Spagna in seguito alla guerra del Vespro, ricevette, come merito ai servizi resi al re Pietro Primo d’Aragona, il nuovo feudo raccujese. Da lui la baronia passò prima al figlio Manfredi e poi all’omonimo nipote, il quale, trovatosi a reggere la terra nel periodo in cui i baroni, capeggiati dalla potentissima famiglia dei Chiaramonte, congiurarono contro il re Martino Primo, venne allontanato dal feudo avito, che gli fu confiscato (1393). Ma qualche anno dopo, nel 1396, fu rimesso in grazia dallo stesso re, e si vide ritornare il feudo, insieme ad altri privilegi e donazioni.
Il secolo XIV, dunque, interessato dal governo degli Orioles, vede il Castello ingrandito ed ampliato per ospitare la famiglia del feudatario; viene, inoltre, edificata la chiesa di San Pietro, costruita intorno all’importante torre medievale, che, al suo interno, sovra una colonna, reca inciso l’emblema degli Orioles.

1418-1507: I BARONI ORIOLES REGGONO LE SORTI DELLA CITTADINA

Il governo della famiglia Orioles interessa anche tutto il XV secolo: si succedono quattro Baroni e una Baronessa (Cecilia Orioles Staiti), i quali, nell’imparentarsi con grandi famiglie feudali, accrebbero la loro influenza e il loro patrimonio. Singolare è il caso di Pietro Sancio Orioles Valguarnera, il quale tenne la Baronia per quasi trent’anni ( dal 1453 al 1479) e, in seguito cedette il feudo, prima al figlio Alfonso, che governò per poco tempo essendo morto in giovane età; in seguito, nel 1507, il barone Pietro nominò erede universale la figlia Cecilia, che morì lo stesso anno, costringendo il padre a vendere la Terra alla famiglia Valdina.

1507-1552: LA TRANSIZIONE E IL SECOLO DEL RINASCIMENTO

Fu Andrea Valdina a governare la Baronia nel periodo in cui, nel resto d’Italia, prendeva piede lo splendido Rinascimento: personaggio illustre e aperto alle nuove tendenze, politiche ed artistiche, contribuì a preparare un fertilissimo “terreno” dal quale i Branciforti avrebbero poi tratto i frutti migliori. Per quanto potè, date le scarse finanze della cittadina, modernizzò l’agricoltura, sviluppando quella tendenza di coltivazione “intensiva” che ancor oggi domina l’agro di Raccuja; consigliò l’edificazione di nuovi quartieri fuori dall’antico centro cittadino, che probabilmente era delimitato da una sorta di mura, quali i primi impianti di quartiere San Pietro, sotto la medievale chiesa omonima, e quartiere Fossato, a settentrione dell’abitato, in una zona che, probabilmente per la naturale pendenza, fungeva da fossato della cittadina medievale e da difesa per il borgo stesso. Dopo di lui fu il figlio Francischello a reggere la Terra Raccujese, fin quando , nel 1522, questi non vendette la Baronia a Bernardo La Rocca, il quale se ne investì nel febbraio 1543; dovette però lasciare la Terra dopo qualche anno, per i continui disordini popolari.

1522-1630: L’ASCESA DEI BRANCIFORTI E IL FULGORE DELLA CONTEA RACCUJESE

A metà del Cinquecento la cittadina, da tanto tempo sottoposta a regime feudale e passata in mano a quattro famiglie nobiliari, stanca dei vincoli feudali, levò il capo e si ribellò al La Rocca, che fu costretto a scappare: il popolo chiedeva un ritorno al Dominio Regio, tanto vagheggiato e mai ottenuto dopo che il Vespro siciliano ne aveva decretato la fine a Raccuja. Il popolo raccujese, però, non aveva il danaro disponibile per riscattare la propria terra e quietanzare il La Rocca: pertanto la rivolta si trasformò in un vano gemito disperato, che si risolse in una ennesima sottomissione a vincoli signorili: ma questa volta Raccuja aveva la possibilità di legarsi alla famiglia più ricca ed eminente del regno di Sicilia, che aveva l’onore di precedere il Re nei solenni cortei pubblici e i cui esponenti, Grandi di Spagna e Principi di alcuni tra i feudi più ricchi di Sicilia, avevano il diritto di stare in piedi alla presenza del sovrano. Fu, infatti, Nicolò Branciforti a riscattare la Baronia dal La Rocca e ad elevarla a Contea. La cittadina ripagò il nuovo signore con un trionfo culturale che, nella sua storia, non ebbe e non avrebbe avuto più pari: fu elevata la grande Chiesa Madre e costruiti i palazzi più imponenti e ricchi del borgo ( edifici privati attorno all’attuale piazza XXV aprile); si insediarono svariati ordini monastici (Benedettini, Minori Osservanti di San Francesco di Paola); nacquero le più illustri glorie cittadine: lo scultore Rinaldo Bonanno, il grande filosofo Nicolò Serpetro, il letterato Rufino Scaciotto.

XVII SECOLO: IL SECOLO BAROCCO E GIUSEPPE BRANCIFORTI

Al 1604 risale la fondazione del convento dei Carmelitani Calzati. Alla guida del feudo subentrarono Orazio, Giuseppe e Nicolò Placido, i quali incentivarono soprattutto la produzione ed il commercio della seta: tra il 1600 ed il 1653, secondo stime del Thimothi Davies, Raccuja produceva circa 6.500 libbre annue di seta, di cui 5.800 vendute sul mercato esterno di Messina e Palermo e 700 destinate al consumo interno. A tale egemonia nei commerci subentrò anche una certa importanza politica, quando il nuovo signore, Giuseppe Branciforti, fu insignito dal vicerè della carica di pretore di Palermo; ma, deluso da squallide trame di corte, che lo avevano visto privato dell’eredità della principessa di Butera, Margherita, in favore dell’omonimo cugino, il conte di Mazzarino, si ritirò in un edificio fortificato in una contrada vicino Palermo, detta “Bagarìa”. La sua dimora costituì il primo nucleo abitativo della città che verrà poi detta Raccuja Nuova, l’odierna Bagheria e sarà in seguito scelta come privilegiato luogo di villeggiatura dalle più grandi famiglie aristocratiche del Settecento. Raccuja, che si guadagna anche il titolo di “madrepatria”, anche sotto la guida del nuovo signore, Nicolò Placido, continua a vivere il suo periodo più fulgido

1727-1812: DA CATERINA BRANCIFORTE ALLA CADUTA DEGLI STATI FEUDALI IN SICILIA

Dopo la morte del padre Nicolò Placido, Caterina diventa il nuovo conte di Raccuja nel 1727: l’unico feudatario donna a guidare il paese, lasciò nella memoria delle genti del luogo un felicissimo ricordo, per le doti magnanime, per l’eccezionale bontà e per le numerose azioni caritatevoli verso la popolazione. Ella, grande di Spagna di Prima Classe, istituì, col proprio denaro, un sostegno alle giovani nubili e vedove dei paesi di Raccuja, Pietraperzia, Mazzarino, Butera e Leonforte. In questi paesi le successero, quand’ella era ancora in vita, le sorelle Beatrice e Maria Rosalia, ed ella restò contessa della sola Raccuja sino alla morte. Dopo di lei Salvatore ed, infine, Ercole Michele guidarono le sorti della cittadina, sino al 1812, anno in cui il Parlamento Siciliano decretò l’abolizione di tutti i possedimenti feudali nel Regno e la fine di tutti i privilegi che all’aristocrazia ne derivavano.

XIX SECOLO: DAL NUOVO ASSETTO AMMINISTRATIVO ALL’ANNESSIONE AL REGNO D’ITALIA

Dal 1812 Raccuja si trovò, dunque, sciolta dai secolari vincoli feudali che la condizionavano ormai da più di cinque secoli: tutti gli immensi possedimenti dei Branciforti vennero acquistati dalle più abbienti famiglie del luogo, e ciò comportò la creazione di quell’importante ceto di grandi proprietari terrieri che tanto condizionerà la vita della cittadina. Queste numerose famiglie di possidenti, nel 1856, fondarono una “Camera di compagnia nel Piano di Sant’Antonio”, attuale circolo Barnard, luogo di riunione, di gioco e di cultura, che fu al centro della vita politica della Raccuja dell’ Otto e Novecento. Grande ruolo politico fu rivestito allora dal Barone Francesco Paolo Picardi, chiamato a guidare il Comune nel 1848 e nel 1860. Sebbene a Raccuja non ebbe grande eco l’epopea garibaldina, al referendum del 1860, nel quale si votava circa l’annessione o meno al regno d’Italia, su 450 voti, quelli positivi furono 450. Il potere dei Proprietari terrieri diviene, però, illimitato, quando, nel 1866, vengono chiusi tutti i conventi e i monasteri del Regno, compresi quelli di Raccuja, e le terre di questi vengono spartite tra Li Perni, Natoli, Angotta, Picardi e Giuliani, che divengo veri e propri “latifondisti”. Il giudice Circondariale di III classe, derivante dall’ufficio feudale di Mero e Misto Impero, divenne, sotto i Savoia, Pretore.

XX SECOLO: DA GIOLITTI ALLA DITTATURA, AL SECONDO DOPOGUERRA

Il Novecento si apre, per Raccuja, con un’altra “età dell’oro”: nel 1906 Francesco Paolo Picardi è ministro dell’Agricoltura del nuovo governo Giolitti. Nella cittadina sono presenti: l’ufficio della Pretura; l’Ufficio di Registro; il Monte Agrario, fondato da Francesco Romeo già nel XVII secolo; il Monte di Pietà, creato agli inizi del XIX secolo; la Congregazione di Carità; l’Ufficio Postale; l’ufficio per la riscossione dei Dazi Doganali; il carcere Giudiziario, nei locali del vecchio castello. Sotto la dittatura fascista Raccuja registra il massimo numero di abitanti mai raggiunto (5012), riapre la grande chiesa madre, da molti anni in rovina; il potere però, come è naturale, restò in mano ai grandi possidenti, senza alcuna apertura alla popolazione restante. Durante il secondo conflitto mondiale a Raccuja gli abitanti sono costretti a rifugiarsi nelle campagne circostanti. Solo nel secondo dopoguerra e con la Repubblica il potere è equamente distribuito e la politica paesana, come quella Nazionale, è articolata in DC (con sede nel vecchio Circolo dei Nobili), PCI (che si insediò nella nuova Camera del Lavoro) e in Partito Socialista.